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In arrivo una rivoluzione religiosa in Medio Oriente

Articolo tradotto da Ahmad Bakie (originale)

Vecchie consuetudini e antichi preconcetti tormentano ancora una volta il Medio Oriente. Il più grande massacro di civili palestinesi dalla creazione dello Stato di Israel, compiuto il 7 ottobre, è stato seguito da un massacro di civili Israeliani. L’America, che ha finanziato, armato e difeso Israele, è ancora una volta oggetto, ovunque, di rabbia e sdegno. Lo stesso vale per i suoi alleati occidentali. Insieme sono accusati di aver facilitato gli attacchi a Gaza e lo sfollamento della sua popolazione.

L’aggressivita’, brutalita’ hanno vanificato i recenti sforzi volti a migliorare le relazioni nella regione. I portabandiera dell’Islam – l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita – avevano iniziato a superare la loro divisione settaria. Oltre ad accettarsi a vicenda, gli stati musulmani cominciavano ad accettare anche quello ebraico. Dal 2020 quattro stati arabi hanno aderito agli accordi di Abraham, normalizzando le loro interazioni con Israele. Altri, inclusa l’Arabia Saudita, erano pronti a seguirli.

Ora la guerra a Gaza sta radicalizzando e terrorizzando il mondo musulmano. I palestinesi hanno l’attenzione globale fissa sulla loro situazione dopo anni di abbandono. Hamas può considerarlo una sorta di successo. Ma molti incolpano Hamas per aver causato questo coflitto con Israele.

Le conseguenze sul terreno mostrano che i musulmani si trovano in un momento critico nell’evoluzione della loro fede. Enormi trasformazioni religiose, politiche e sociali stanno cambiando il Medio Oriente e i suoi oltre 400 milioni di abitanti. La domanda è se l’attacco di Hamas invertirà questa rivoluzione alimentando le braci dell’islamismo. Il fervore anti-israeliano e anti-occidentale potrebbe agitare nuovamente le radici.

Per capire perché un simile risultato sarebbe così dannoso, si consideri quanto sia cambiato l’atteggiamento dei musulmani nei confronti della religione negli anni precedenti gli attacchi del 7 ottobre. La pratica religiosa è passata da una mobilitazione politica per la salvezza comunitaria, come sposata dagli islamisti, a una ricerca più personale di spiritualità. Il risultato è che per molti musulmani l’Islam è diventato sempre più depoliticizzato.

Questa tendenza è chiara in Iran. Dopo la rivoluzione del 1979, è stata guidata da un religioso sciita. Si definisce una repubblica islamica e ufficialmente il 99,5% dei suoi 89 milioni di abitanti sono musulmani. Ma nel 2021 un sondaggio online condotto da Gamaan, un gruppo di ricerca olandese, ha affermato che circa la metà dei 50.000 iraniani intervistati ha affermato di aver perso o cambiato la propria religione. Meno di un terzo si identifica come sciita, la setta musulmana al potere. E nonostante il divieto del paese al proselitismo, l’interesse per le fedi non musulmane del paese, come quelle zoroastriane e baha’i, è in forte aumento. Gli evangelici in Iran affermano che il Cristianesimo sta crescendo più velocemente che in qualsiasi altro paese.

Negli ultimi anni in tutto il mondo musulmano i religiosi, un tempo intoccabili, sono stati denigrati per avidità e ipocrisia. Le agevolazioni fiscali, le assegnazioni di terre e i video porno gay in paesi come Iran, Iraq e Pakistan hanno suscitato indignazione. Alcuni teologi hanno cercato di adattarsi, o per convinzione o nel tentativo di rimanere rilevanti. In Marocco Abderrahmane Taha, probabilmente il filosofo più influente nel mondo musulmano, ha sintetizzato l’umanesimo con il codice etico dell’Islam.

Le istituzioni precedentemente in stretto contiguità con l’Islam, come la famiglia reale saudita, si sono allentate. Il principe ereditario e sovrano de facto del regno, Muhammad bin Salman, ha abbandonato l’alleanza durata 250 anni della sua famiglia con i seguaci di Ibn Abd al-Wahhab, un fanatico del XVIII secolo. Nel 2018 si è anche fatto proclamare mujaddid, o rinnovatore della fede. In un sondaggio condotto lo scorso anno da James Zogby, un sondaggista americano, oltre due terzi dei giovani adulti del Medio Oriente hanno affermato di volere che le istituzioni religiose si “modernizzino” .

La tolleranza religiosa è aumentata ampiamente tra i paesi musulmani. Negli ultimi dieci anni più di una dozzina hanno ospitato Papa Francesco. Egitto, Emirati Arabi Uniti e Marocco hanno ristrutturato sinagoghe o ne hanno costruite delle nuove. E in Iraq, un centro per il dialogo interreligioso è stato aperto di fronte ai cancelli del santuario più sacro dello sciismo, a Najaf.

La riforma sociale ha accompagnato il calo del fervore islamista. In Arabia Saudita la pressione è arrivata dall’alto, ma molti cittadini l’hanno accolta favorevolmente. Le moschee ora competono con concerti costellati di dive e star occidentali, festival cinematografici e eventi sportivi per attirare l’attenzione popolare. Uomini e donne non sono più segregati nelle università, negli uffici e nei ristoranti. La necessità economica ha anche spinto le donne ad intraprendere lavori tradizionalmente maschili, dall’allevamento del bestiame alla guida dei taxi. Nel frattempo, nel 2017, il parlamento tunisino ha annullato il divieto basato sulla Sharia che vietava alle donne musulmane di sposare uomini non musulmani.

Altri cambiamenti vengono promossi dai musulmani comuni, se non dalle élite. L’anno scorso l’Iran ha assistito a proteste di massa per i diritti delle donne; il regime ha ucciso 500 persone per rappresaglia. I tassi di divorzio nel Golfo, un tempo conservatore, ora superano quelli di molti paesi occidentali. E poiché le difficoltà economiche hanno costretto le coppie a ritardare il matrimonio, il sesso prematrimoniale è diventato più diffuso nella regione, dicono i sociologi.

L’Islam politico ha vacillato durante un decennio in cui le norme sociali e culturali sono diventate sempre più globalizzate. Nel 2011 è fiorita durante la Primavera Araba. Ma nel 2019 i manifestanti in Algeria, Iran, Iraq, Libano e Sudan chiedevano uno Stato civile. Nel 2021 i marocchini hanno votato per destituire un primo ministro islamista e il suo partito.

Questo rifiuto dell’Islam politico riflette quanto poco i suoi aderenti abbiano fatto per affrontare il profondo malessere economico nei paesi in cui detenevano il potere. In Egitto, Gaza e Tunisia, i redditi sono crollati notevolmente. La disoccupazione annidata; gli investimenti esteri sono crollati. Idlib, una vasta provincia governata da ‘’jihadisti arabi sostenuti dalla Turchia’ nel nord-ovest della Siria, è tra le province più povere del paese. Il malessere non è sempre stato causato dagli islamisti. Ma avevano promesso che “l’Islam è la soluzione”. Non lo era.

In alcuni paesi Arabi come l’Egitto, i militari hanno allontanato gli islamici dal potere. In Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti la Fratellanza Musulmana, il movimento islamico più antico del mondo, fu bandito. L’anno scorso la Tunisia ha incarcerato Rached Ghannouchi, l’islamista che era presidente del parlamento del paese. Anche la religiosità palese ha classificato i governi. A settembre l’Egitto ha vietato l’Hiqab, ovvero il coprirsi la testa, nelle scuole dell’obbigo.

Il jihadismo violento è in estinsione insieme all’Islam politico. Dal 2001 i governi occidentali hanno intrapreso una “guerra al terrorismo”. Due decenni dopo, “operazioni terroristiche spettacolo” in gran parte del mondo sono considerati, ormai, una cosa del passato. In Siria e Iraq, una coalizione guidata dagli americani ha distrutto il califfato dello Stato Islamico (isis).

Altri movimenti islamici hanno frenato il loro comportamento per sopravvivere. Il ramo siriano di Al-Qaeda era uno di questi. Per anni Hamas, almeno in apparenza, è sembrato far parte di quel club. Ha fermato gli attentati suicidi in Israele e nel 2017 ha pubblicato una nuova Carta priva dell’evidente antisemitismo. Molte donne nella città di Gaza si sono tolte il velo.

Come si evolverà l’Islam politico in risposta alla guerra a Gaza? È possibile che emerga una nuova generazione di estremisti. I problemi economici, la cattiva governance e le arroganti, dannose dittature forniscono un terreno fertile per un ritorno. Libia, Libano e Yemen sono già stati falliti. I paesi più popolosi del Medio Oriente, Egitto e Iran, sono entrambi economicamente instabili.

La guerra di Gaza potrebbe dare ossigenno rivitalizzante ai Fratelli Musulmani, Hamas potrebbe provocare ancora più caos. E nella periferia dell’Islam i fuochi ideologici bruciano ininterrotti. I jihadisti prosperano in Afghanistan e nella Siria orientale quando i curdi si ritirano nelle loro caserme.

I governi del Medio Oriente stanno cercando di reprimere ogni resistenza. Molti governanti musulmani vedono un eventuale revival islamico come una minaccia tanto per se stessi quanto per l’Occidente. Potrebbero addirittura sostenere l’obiettivo di Israele di distruggere Hamas, se non i suoi mezzi. Nessun paese che abbia recentemente normalizzato le relazioni con Israele ha interrotto i legami, né ha chiesto all’America di lasciare le sue basi regionali. E la maggior parte degli stati del Golfo hanno vietato proteste e sermoni in solidarietà con i palestinesi. Perfino il Qatar, protettore di Hamas e di altre cause islamiste, si è offerto di espellere gli islamisti se il suo alleato, l’America, glielo avesse chiesto. Anche l’Iran e il suo asse di resistenza hanno evitato i combattimenti e hanno lasciato il gruppo di Hamas combattere da solo.

Il rovesciamento di Hamas a Gaza potrebbe portare una tregua a breve termine, ma col tempo potrebbe disperdere le sue idee e i suoi militanti in tutto il Medio Oriente. L’islamismo stesso potrebbe evolversi in qualcosa di meno settario man mano che si diffonde, forse riunendo seguaci sunniti e sciiti, ma la sua militanza potrebbe intensificarsi. “Il mondo sogna se pensa che il momento islamista sia passato”, afferma Andrew Hammond dell’Università di Oxford.

Per mantenere l’Islam politico ragionevolmente quiescente, la frattura tra Israele e palestinesi dovrà essere sanata. I regimi musulmani nella regione dovrebbero affrontare urgentemente i mali socioeconomici di cui si nutrono gli islamisti. Gli stati ricchi di petrolio del Medio Oriente possono permettersi un contratto che offra libertà individuale piuttosto che politica. Ma i più poveri non possono pagare la protezione sociale che li garantisce. Tuttavia, imprigionare gli islamisti non servirà a compensare ciò. L’Islam è spesso fiorito in un mondo multireligioso. Può farlo di nuovo.