di Samir Zakaria | Ad oggi le manifestazioni in molte città iraniane continuano a macchia di leopardo ma sottotono. I disordini che hanno causato finora 24 morti e centinaia di feriti sono scoppiati quasi venti giorni fa per motivi economici e sociali, ma c’è anche una componente politica, una specie di lotta intestina fra il partito dell’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. conservatore laico con un doppio mandato alle spalle, e il riformista Hassan Rouhani, al suo secondo mandato.
Quello però che sta succedendo in Iran agli occhi del mondo occidentale appare come una rivolta contro il regime degli ayatollah, che in realtà non lo è perchè non ha ancora i presupposti per essere definita tale. Il presidente iraniano Rouhani ha sin da subito chiesto ai manifestanti di abbassare i toni, dando in parte ragione alla rabbia popolare e attuando una serie di misure tramite il parlamento iraniano (che è stato eletto, ricordiamolo) promettendo di non aumentare il prezzo dei combustibili, della luce, dell’acqua e di molti generi alimentari.
Osservando l’approccio dei media occidentali alla notizia, fomentati dai tweet impulsivi del presidente americano Trump che ha detto, tra l’altro, si “stare dalla parte del popolo”, alcuni analisti locali hanno notatola tendenza a tenere alta l’attenzione anche quando il quadro complessivo appariva in via di risoluzione, sottolineando più volte notizie di minore importanza, come l’arresto di una manifestante che si era tolta il velo, oppure i disordini in corso nei piccoli paesini sperduti della periferia iraniana. Una sorta di ossessione mediatica, in parte ingiustificata.
E’ vero, c’è anche il caso dell’emittente saudita Al Arabiya, che non intende abbassare l’attenzione visto che il giovane erede al trono Mohà mmad Bin Salmà n ha detto qualche mese fa davanti alle telecamere del mondo “l’Arabia Saudita farà di tutto per colpire il regime iraniano dal suo interno “, ma questa è un’altra storia, legata non solo allo Yemen ma anche alridicolo embargo di quattro paesi arabi nei confronti del Qatar.
La troppa attenzione dei media occidentali alle proteste in Iran si è rivelato controproducente per gli stessi manifestanti, definiti più volte come traditori, molto disorganizzati e privi di una guida politica o ideologia comune, anche se è vero che molti di loro hanno chiaramente attribuito la crisi economica interna alle troppe interferenze iraniani nella regione.
C’è un grande disagio economico e sociale, ma nessuno per ora intende proporsi come leader alternativo agli ayatollah, e molti governi occidentali, dopo aver sbandierato lo spirito moderato e riformista dell’attuale presidente Rouhani, ora sperano in un cambio di rotta, e guardano dalla finestra e attendono che qualcuno si faccia avanti per guidare la tanto desiderata rivoluzione iraniana. La miccia potrebbe essere proprio lo slogan di alcuni manifestanti; “lasciamo la Siria, il Libano, lo Yemen, e pensiamo a noi“. La strada è lunga, ma potrebbe essere un buon inizio se si vuole l’appoggio quasi immediato della comunità internazionale.
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